Doveva comprare una lavatrice

Arham cammina nel piazzale del Willow Oak, lo zaino sulle spalle sembra più leggero, il vento che soffia dall’oceano lo fa rabbrividire mentre osserva  la luce ardesia con striature di sangue che annega piano piano dietro la linea dell’orizzonte.

Apre la porta, la sala è illuminata da una luce obliqua proveniente dalla lampada sul tavolo, nell’aria c’è un odore forte di tè nero, di farina e cumino. Sua madre è seduta sul pavimento immersa in una pila di panni accatastati, suo padre è sprofondato sul divano con una tazza in mano.

“Questa lavatrice mangia i calzini.” dice la madre tra sé e sé.

Arham sospira, il problema non è la lavatrice, e nemmeno i calzini, se è per questo. Si avvicina alla montagna di panni, si siede per terra e comincia a raccoglierli seguendo un invisibile spartito: le mutande con le mutande, i calzini con i calzini, gli hijab con gli hijab, dividendoli per colore. 


Era cominciato tutto qualche anno prima, quando suo padre si era fatto convincere ad acquistare una lavatrice da Sears. L’aveva chiesta la nonna, sosteneva di essersi stancata della vecchia carcassa che invece di lavare i panni li macchiava di ruggine, soprattutto i bianchi che il più delle volte andavano rilavati a mano anche se le macchie poi non andavano più via neanche a sfregarle con la carta vetrata. 

Nell’immenso negozio il padre si era sentito insignificante davanti a quella montagna di lavatrici disposte su file ordinate, efficienti, simmetriche. Le luci artificiali dei fari rimbalzavano sulle superfici bianche e sui vetri degli oblò creando un senso di pulizia e vertigine. 

Doveva comprare una lavatrice… 

Era stato affiancato da due commesse, stesso abbigliamento, stesso sorriso, stessa empatia. Lo avevano soppesato, e con poche parole lo avevano convinto ad acquistare una lavatrice coreana. Si era ritrovato in uno spazio riservato, una delle due commesse era scomparsa nel corridoio luminoso e l’altra lo aveva fatto sedere davanti ad un terminale. Gli aveva fatto delle domande sul lavoro nel centro di smaltimento di Amazon, sullo stato civile, sul reddito, e alla fine gli aveva proposto di acquistare l’elettrodomestico per settanta dollari al mese, per dodici di mesi.

Una settimana dopo era arrivata la lavatrice.

Due settimane dopo una carta di credito con il suo nome stampato in rilievo a caratteri dorati.

Nella lettera di presentazione della carta di credito la compagnia si congratulava con lui per aver sottoscritto una carta Prestigiosa e Multifunzionale. Con quella carta si potevano spendere fino a tremila dollari nei circuiti Visa, Mastercard, Discovery, Amex e restituire i soldi in comode rate. 

A parte il fatto che a suo padre non era mai capitato di imbattersi in rate né comode né tanto meno scomode, aveva ad ogni modo deciso di approfittare di quella gentilezza dal momento che neppure due giorni prima era arrivata una fattura del meccanico che nessuno sapeva come saldare.

Suo padre si era ritrovato immerso in una frenesia di attività che sembrava non conoscere sosta. Aveva deciso di festeggiare con un gesto di indulgenza culinaria, recandosi al Medina Meat Market su Providence Road per comprare della carne d’agnello halal con una salsa piccante che prometteva di accendere persino i palati dei defunti. Sua madre già che c’era si era lanciata in una corsa sfrenata per la spesa, approfittando del momentum per riempire il carrello di generi alimentari, e poco importa  nell’economia della storia che una volta a casa si fosse resa conto di aver dimenticato di acquistare i detersivi e l’anticalcare per la lavatrice.

Poi, la frenesia si era spostata al centro commerciale su Alleghany avenue, dove il susseguirsi di vetrine e offerte li aveva fulminati. Tra una miriade di tentazioni, avevano optato per un paio di scarpe per Arham, dei guanti di pelle nera per la nonna, una sciarpa per la mamma, un cappotto per il papà, gesti d’affetto pagabili in comode rate. Arham, aveva cercato di avviare una conversazione tra adulti toccando dapprima argomenti finanziari sui i tassi di interesse e le assicurazioni, poi appellandosi ai detti pakistani sulla parsimonia ricordando che il nonno diceva sempre che chi risparmia una goccia alla volta, presto avrà un oceano di ricchezza. Nulla da fare, i suoi sforzi erano stati soffocati dall’euforia di suo padre che sembrava bruciarsi come Semele avvolta nelle fiamme divampanti dell’Olimpo, consumato dalla propria passione e potenza fino all’autodistruzione.

A distanza di tre anni il fido era arrivato a cinquemila, la lavatrice risultava pagata, ma le comode rate ammontavano a duecento al mese, soldi che suo padre prelevava con la carta il tredici per versarle nel conto bancario il quindici, giusto in tempo per saldare la comoda rata che cresceva come un lombrico da insalata.


Arham continua a piegare i calzini, a dividerli dagli hijab mentre osserva i genitori. Li rivede giovani, a Pashwa, la città che giace ai piedi delle montagne dell’Hindu Kush, al confine con l’Afghanistan. Le strade tortuose sono fiancheggiate da antiche case di fango e pietra. Il cuore della città è il bazaar, un intreccio colorato di bancarelle e negozi che vendono spezie fragranti, tessuti vivaci e oggetti artigianali. Il suono dei commercianti che chiacchierano e dei clienti che contrattano riempie l’aria, i profumi speziati fluttuano tra le vie. Le donne pashtun, vestite con abiti colorati si incontrano nei cortili per tessere stoffe e condividere pettegolezzi mentre preparano il pane tandoor nelle cucine. I volti riflettono delicati tratti di henna, gli occhi brillano di calore. Gli uomini pashtun si riuniscono nelle moschee per le preghiere quotidiane, discutono di politica e tradizioni, condividono le avventure nelle terre selvagge al di là del confine meridionale. Gli stranieri sono accolti con il calore del tè alla menta e dei dolci fatti in casa. Le conversazioni durano secoli intorno ai tappeti stesi per terra.

Le comode rate qui non esistono. Le carte di credito sono le strette di mano, che se poi a fine mese i soldi non ci sono, bè… ci si mette d’accordo tra sharif, persone d’onore.  L’ombra della guerra al di là delle montagne si percepisce come un velo sottile, come un monito che ricorda di godere appieno della vita. Di fronte alla grandezza della guerra, una bolletta da pagare in North Carolina è solo un piccolo numero decimale disperso in un vasto universo di numeri interi.

Arham si alza e va nella sua stanza. Apre il cassetto del comodino e prende una scatola nascosta dietro alcuni libri. All’interno ci sono milleduecento dollari, i risparmi che ha accumulato lavorando part-time nei fine settimana, tutto quello che ha. Arham si perde nei calcoli. Milleduecento: l’uno rappresenta l’unità e l’inizio, il potere di creare e manifestare le proprie intenzioni. Il due simboleggia l’equilibrio, la dualità e la relazione, mentre lo zero è l’infinito e l’assenza di confini. Quando queste cifre vengono combinate per formare il numero milleduecento creano una sorta di armonia numerica che risuona con la natura stessa dell’universo. 

Torna in soggiorno, consegna le banconote nella mano della madre evitando di incontrare i suoi occhi: “Forse questo può aiutare,” dice, cercando di ingoiare il bolo di rabbia che gli chiude la gola.


Uno dei miei miti preferiti è quello di Semele. La storia racconta che la donna, con il cuore intriso di desiderio, pregò il re degli dèi di mostrarsi in tutta la sua gloria. Giove, pur essendo consapevole delle conseguenze mortali che ciò avrebbe comportato per una donna umana, le aveva però promesso di accontentare ogni sua richiesta, così si trasformò e Semèle morì folgorata.  La vista della divinità di Giove si rivelò troppo per Semele, e il suo corpo mortale non poté sopportare la magnificenza dell’apparizione. Bruciò arsa nell’ardore del suo desiderio.

Ho sempre amato la storia di Semele, perché ci insegna che forse le cose belle vanno accolte nella loro interezza.

Senza paura…  

Magister D.

IT’S ABOUT US

Gli sterminati sobborghi dell’America rurale, i centri commerciali, le catene di fast food a ridosso delle Intrstates raccontati attraverso gli occhi un po’ sognatori di Mr. D, un professore di latino emigrato dall’Italia e di Celia, una ragazza con un passato misterioso. It’s about US, uno sguardo sugli Stati Uniti oltre i titoli appariscenti dei giornali nazionali. Sempre di lunedì, o giù di lì.

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Published by excathedra20

Insegnante di latino e italiano per una decina di anni in Italia, dal Duemilaundici in una scuola superiore negli Stati Uniti.

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