Il peso specifico della felicità

Se preferisci ascolta la storia (12:04 min)

Celia cerca di liberarsi dalla presa. Scalciando e agitandosi, muove le braccia con le mani chiuse a pugno e gli occhi serrati. Le foglie e il terriccio che alza con i piedi formano una polvere secca che le brucia la gola. Per il resto è una lotta fatta di sospiri ovattati che si disperdono nel silenzio della notte.

“Stai ferma! Ascoltami!” riesce a dire lo sconosciuto con un tono di voce affannato che Celia non riconosce. Allora si piega in avanti, lo sconosciuto perde l’appoggio e cade a terra. Celia pensa a Daisy in Italia, alla voglia che ha di rivederla, possibilmente viva. “Non farò la celia…” bisbiglia, poi sferra un calcio forte sul fianco di quella sagoma. Lui accusa il colpo e urla un “goddamit”, poi le afferra il piede che si ritrae dal calcio, tossisce mentre aspira la polvere secca, la tira a sé e la fa cadere a fianco a lui.

Ora che è finita a terra, Celia si dimena come un’anguilla scalciando l’aria con la schiena ormai madida di sudore. Lui le prende il viso con forza tra le mani e la costringe a guardarlo. Celia riconosce la fronte ampia e regolare, i capelli scuri, le sopracciglia folte e ben delineate che si sollevano appena verso l’alto, gli occhi grigi, il naso dritto e un po’ pronunciato, le guance appena scavate con le labbra piene.

“Lasciami!” urla Celia rallentando l’intensità dei calci mentre cerca di restituire un nome a quella faccia.

Il ragazzo allenta la presa e quando vede che lei non reagisce più si sdraia a faccia in su cercando di riprendere fiato. “Poison ivy… stavi finendo dritta dritta contro…” poi fa roteare la mano indicando qualcosa alla loro destra.

Celia si rivede nella classe di ESOL, il mangianastri con la voce monocorde. “Arham! Ti chiami Arham!”

“Vedi quella pianta rampicante con le foglie a tre punte? Se la tocchi… toccavi… finivi dritta in ospedale.” dice lui cercando di regolare il respiro.

Celia non si muove. L’adrenalina della lotta svanisce: “Arham.” ripete incredula, “Ma sei pazzo? Non potevi chiamarmi invece di saltarmi addosso?”

Arham si rimette in piedi, si rassetta i pantaloni e la giacca, si passa una mano sui capelli: “Non volevo spaventarti.”

“E meno male! Dai, torniamo al trailer.”

“Trailer? Guarda che io camminavo per i fatti miei…”

“Di notte?”

“Perché, è vietato?”

“Vietato no, ma un po’ inquietante sì, non trovi?”

“Perché, scusa, tu cosa stavi facendo?”

“stavo….” inizia a dire alzandosi in piedi e rassettando i vestiti impolverati.

“Hey, guarda che il trailer è dall’altra parte. Vieni, ti accompagno.”

Il silenzio del bosco è rotto solo dal fruscio dei loro passi. Arham avanza senza fatica muovendosi sicuro tra le piante e i sentieri illuminati dalla luce esile della luna. Celia cerca di stargli dietro ma inciampa ad ogni passo.

“E perché cammini di notte?” gli domanda mentre comincia a sentire i rumori ritmati della musica nel trailer in lontananza.

“Perché penso meglio.”

“A casa non riesci a pensare?”

“Sono cresciuto in Montana, con i nonni. Lì la notte non è mai solo buio. Le stelle si accendono e illuminano un cielo di cristallo come un sipario. Io e mia sorella ci sdraivamo tutte le sere sul prato dietro casa e le fissavamo per ore fino a perdere il senso del tempo. Erano così luccicanti che sembrava quasi di poterle toccare… la Via Lattea, Orione, Cassiopea.”

“E poi cos’è successo?”

“Il nonno era un mandriano. Vivevamo in un trailer a ridosso di una fattoria. Mia madre e mio padre ci avevano lasciato lì mentre cercavano di mettere insieme due lavori decenti sulla costa est. Poi l’anno scorso il nonno si è ammalato. Gli hanno poco tempo. Non aveva paura, solo non voleva morire in America, ma non aveva i soldi per tornare a casa, in Pakistan.” dice Arham calciando un legnetto, “così gliel’ho comprato io un biglietto, poi sono tornato a vivere con i miei mentre mia sorella è rimasta in Montana e ha preso il suo posto.”

“Ma i soldi dove li hai presi?”

“Mi piace la matematica. Faccio ripetizioni online, posto video qua e là, collaboro con qualche rivista, mi do da fare.”

“E che video posti?”

“Più che altro enigmi e indovinelli. Lo scorso mese ne ho fatto uno sull’enigma di Flavio Giuseppe, lo vuoi sentire?”

Celia sta per accampare una scusa ma inciampa sull’ennesima radice.

Arham interpreta quel silenzio come un invito a proseguire: “Quaranta soldati sotto assedio capiscono che verranno catturati dal nemico e decidono di morire. Poiché non si vogliono suicidare si dispongono in cerchio e stabiliscono che il primo avrebbe ucciso il terzo, il quarto il settimo e così via. Così facendo, il cerchio si sarebbe rimpicciolito, finché ne sarebbe sopravvissuto solo uno che dopo aver ucciso il penultimo compagno si sarebbe suicidato.”

“E quindi?”

“Tra i quaranta soldati c’era un certo Flavio Giuseppe, un matematico, che di morire non aveva tanta voglia, così fece un calcolo e si andò a posizionare nel posto esatto, quello dell’unico soldato che sarebbe sopravvissuto. Uccise il penultimo e se ne andò senza suicidarsi.”

“E il posto sarebbe?”

“Facciamo così, vatti a vedere il video così prendo un’altra visualizzazione. Tu invece?”

“Mi annoiavo… poi volevo chiamare mia sorella, allora sono uscita dal trailer e tu mi sei saltato addosso.”

“Perché sei andata via dall’Italia, intendevo.”

“È una storia lunga.”

“Allora rallentiamo, così fai in tempo a raccontarmela” dice Arham diminuendo l’intensità dei passi. In lontananza si distinguono già le luci del trailer e il suono della musica.

“I miei hanno divorziato e mia mamma è di queste parti, quindi siamo tornate qui.”

“Non sembra una storia lunga…” dice Arham con tono asciutto.

“Ho una sorella, è rimasta in Italia.”

“E allora? Anche la mia è restata in Montana, scommetto che anche la tua è più grande.”

“Un’estate di tanti anni fa è successo qualcosa, una cosa brutta. Io però non so cos’è successo davvero. A volte ho delle visioni, come delle immagini sfocate, forse quando dormo sogno qualcosa perché mi sveglio con le lacrime. Altre volte ho delle sensazioni che sembrano così reali… profumi, rumori, ombre… Dopo quell’estate i miei hanno divorziato e adesso sono qui.” Come finisce di parlare Celia si copre la bocca con il palmo della mano. Chissà cosa avrebbe detto Daisy?

“E come si chiama?”

“Chi?”

“Tua sorella…”

“Daisy.”

Camminano per un po’ senza dire nulla, ormai il trailer è riconoscibile con i raggi di luce che tagliano il buio del bosco e la musica pulsante che riempie l’aria.

“Poi tuo nonno quando è morto?” dice Celia inciampando nell’ennesima radice. Ma quante radici c’erano nel North Carolina?

“Mai. Vive ancora in Pakistan. Dice che è stata l’aria di casa a farlo guarire.”

“Si è inventato tutto?”

“Perché scusa? La felicità non è un concetto astratto, ha un suo peso specifico, altrimenti non si spiegherebbe come mai ogni quaranta secondi una persona si suicida. Mio nonno in America sarebbe morto di sicuro, lui lo sapeva.”

“E quale sarebbe il peso specifico della felicità?”

“F=G+C+V, dove F sta per felicità. La felicità è la somma di tre fattori: il proprio intervallo di felicità genetica G, i fattori sotto il proprio controllo volontario V, e le circostanze della vita C. La Genetica costituisce il cinquanta percento, il controllo Volontario occupa il quaranta e le circostanze della vita solo il dieci.”

“Quindi?”

“Quindi le circostanze della vita non dovrebbero precludere la felicità.”

Quando raggiungono il trailer alcuni ragazzi stanno ancora ballando all’interno, altri si sono sdraiati sul prato all’esterno e fumano guardando il cielo tappezzato di stelle.

“Io vado…” dice Arham.

Rimangonjo a fissarsi imbarazzati

Dei lampeggianti blu illuminano il prato con luci intermittenti. C’è un vociare scomposto, ragazzi che corrono nel prato illuminato a giorno da un proiettore posizionato sul tetto di un grosso SUV. Un gruppo di poliziotti scende dalle auto e si avvicina al trailer con un’espressione seria sul viso.

Lo sceriffo, un uomo con i capelli radi ed una pancia prominente si avvicina richiamando l’attenzione di tutti con un megafono: “Siamo stati chiamati a intervenire a seguito di una segnalazione di disturbo della quiete pubblica,” dice con voce autoritaria.

Si alza un coro di proteste e spiegazioni confuse. Il capo della polizia annuncia che procederanno a identificare tutti i presenti e a emettere eventuali sanzioni in base alle leggi locali.

La tensione raggiunge il suo culmine. Qualcuno prova a fuggire gettandosi nella macchia ma viene immediatamente fermato dai poliziotti disposti a cerchio nel prato. Lo sceriffo continua a gridare dal megafono intimando a tutti di alzare le mani bene in vista.

Arham piega la testa all’indietro verso il cielo e alza le mani: “Guarda, quella è Cassiopea, segui il mio dito, le sue stelle formano una W come nella parola Wonder.”

Celia però non vede nulla, perché le lacrime le appannano gli occhi.

IT’S ABOUT US

Gli sterminati sobborghi dell’America rurale, i centri commerciali, le catene di fast food a ridosso delle Intrstates raccontati attraverso gli occhi un po’ sognatori di Mr. D, un professore di latino emigrato dall’Italia e di Celia, una ragazza con un passato misterioso. It’s about US, uno sguardo sugli Stati Uniti oltre i titoli appariscenti dei giornali nazionali. Sempre di lunedì, o giù di lì.

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It’s about US. Un episodio ogni settimana, di lunedì.

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Published by excathedra20

Insegnante di latino e italiano per una decina di anni in Italia, dal Duemilaundici in una scuola superiore negli Stati Uniti.

One thought on “Il peso specifico della felicità

  1. Carissimo Michele, ti scrivo da qui perché non riesco a ritrovare la tua mail. Non ti sento da un po’. Spero che tutto proceda per il meglio sia per te che per i tuoi cari. Leggo (con piacere) le tue ultime fatiche / gioie letterarie. Hai approfondito l’aspetto psicologico e mi pare che il risultato sia notevole. Da noi tutto regolare. Un grande augurio di Buona Pasqua e un abbraccio. Con l’affetto di sempre. Adriano con la Pellegatta e gli altri. ________________________________

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